GIOVANI ADULTI, CRISI e OPPORTUNITA’
di Elena Selvagno
Psicologa CUM
Gea è in bilico, sull’orlo della svolta: a 24 anni, dopo tanti mesi di sofferenza, dopo aver perso il sonno e l’appetito, dopo aver ricostruito faticosamente una strada per tornare a casa e un rapporto diverso con i propri genitori, ora si stanno aprendo nuove prospettive. Una nuova casa, comprata con l’aiuto dei suoi, può essere certo una nuova nascita nella sua città d’origine. “Non avrei mai immaginato di trovarmi a pensare a un futuro qui, dove sono cresciuta, dove ero stata tanto male”. Ma il master mai finito? Forse un lavoro, ma quale? Gea è tornata a illuminarsi quando mi racconta delle sue idee per un cortometraggio, ma là fuori sembra che l’unica opzione sia indossare la giacca e lo zaino da “glover”.
Parlare di giovani adulti è complesso, a cominciare dalla loro collocazione temporale nel ciclo di vita (senza dimenticare la questione della loro stessa esistenza, che li vede definirsi come “fase specifica” solo dagli anni ‘90): un buon numero di autori concordano nel definire giovani adulti gli individui tra i 20 e i 35 anni d’età, un’età prolungata e che risente di un’ampia variabilità individuale, sociale e culturale. A questa stagione della vita si chiede nientepopodimeno che di completare la definizione della propria identità e del proprio ruolo sociale. E’ una fase di scelta attiva, ma anche di strutturazione di sé e, come tale, soggetta a blocchi, fatiche e sofferenze; sembra alla prese con più ricerche, come le tante pagine aperte sul suo pc. È alla ricerca di una sintesi tra un senso di identità interiore e sociale e il proprio concetto di sé e il riconoscimento dello stesso da parte della società che lo circonda.
È alla ricerca di una nuova “intimità” relazionale (Erikson, 1968), la freudiana “capacità di amare” (Freud, 1914) autentica, che rende i legami affettivi reciproci, capaci di identificazione e responsabilità verso l’oggetto d’amore.
Le sperimentazioni, gli eccessi, il “gioco delle identità”;, sono ancora possibili e fisiologiche in questa fase e servono a sostenere diversi investimenti verso il futuro, nel tentativo (momentaneo) di mantenersi aperte ad oltranza tutte le prospettive possibili (Blos 1962), per poi giungere “alla scelta definitiva dei rapporti, del ruolo, dell’ambiente”.
Vissuti di profonda tristezza, accompagnano questo periodo della vita. I giovani adulti sono ancora tra color che sono sospesi, forse un po’ meno adolescenti, ma non ancora adulti, tirati come il gioco della fune, tra l’essere legati alla “perdita” del sostegno dei genitori e l’assunzione su di sé del peso/piacere delle proprie scelte e al confronto con la propria identità (Pelanda, 2014). Si trovano in un mondo in costante evoluzione, senza apparenti punti di riferimenti valoriali forti, alle prese con i problemi che ben conosciamo, dalla crisi climatica alla “psicosi pandemica”.
Come lavorare dunque con il giovane adulto al tempo della società fluida, della famiglia (troppo?) affettiva, dell’incertezza lavorativa, della famiglia (troppo?) affettiva, dell’incertezza lavorativa, dell’ “ascensore sociale fermo”, del mercato del mercato del lavoro 3.0, dei cambiamenti socioculturali ed economici della società contemporanea?
Credo che vada innanzitutto dato ascolto alle molte voci del Sè, indici della confusione che regna nel mondo interno del giovane adulto, smarrito tra i propri ideali e le innumerevoli realtà possibili. Va messa in conto una fase terapeutica iniziale in cui accogliere il racconto relativo ai progetti e i propositi propri del “mondo dell’ideale” e la conseguente quota di rabbia per lo scostamento tra questi e la realtà “a cui è costretto a soccombere e restare imbrigliato” il giovane adulto (Lancini, 2014). Solo dopo sarà possibile occuparsi di trovare, assieme, il vero volto del Sé ed elaborare e sostenere un percorso autentico di cambiamento, che passerà necessariamente dalla propria accettazione.
La crisi dei nostri giovani adulti sembra dunque accompagnarsi, e a volte nutrirsi, della crisi del mondo moderno. Ma in giapponese la parola “crisi” è /kiki/ 危機, dove il primo kanji 危 vuol dire “pericolo”, ma il secondo kanji 機, ha l’accezione di “opportunità, occasione”. Questi pazienti sono davanti a nuove colonne d’Ercole, combattuti tra paura e desiderio e noi terapeuti dobbiamo accompagnarli in questo viaggio alla ricerca della loro “terra”.